Riformata la disciplina dei congedi, in attuazione della direttiva UE 2019/1158

Con l’adozione del d.lgs. 30 giugno 2022, n. 105 è data attuazione alla direttiva UE 2019/1158 relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza.  Tra le novità più significative, la previsione per ciascun genitori di 3 mesi di congedo non trasferibile e l’estensione  da 6 a 9 mesi della durata complessiva del congedo coperto da indennizzo pari al 30% della retribuzione, utilizzabile fino ai 12 anni del figlio (e non più fino a 6). Confermato il congedo obbligatorio di paternità di 10 giorni anche non continuativi, da utilizzare dai due mesi precedenti il parto fino ai cinque successivi.  Modificata anche la l. 104/92 in relazione ai prestatori di assistenza. Tra le principali novità, 2 ore di permesso giornaliero retribuito fino al terzo anno del figlio disabile grave e 3 giorni di permesso mensile retribuito e coperto da contribuzione figurativa per assistere il coniuge o il convivente di fatto in situazione di disabilità grave.

Le nuove disposizioni si applicano anche ai dipendenti pubblici, se non diversamente specificato.

Nuovi obblighi di informazione e di trasparenza sulle condizioni di lavoro, introdotti dal d.lgs.104/22

Il 13 agosto p.v. entra in vigore il d. lgs. n. 104/22  (pubblicato in GU del 29 luglio) che prevede una serie di nuovi obblighi informativi a carico del datore, in attuazione della direttiva UE n. 2019/1152 in materia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili. Le nuove regole si applicano anche ai contratti di lavoro somministrato, intermittente, alle prestazioni occasionali e alle prestazioni coordinate e continuative (che includono il lavoro svolto tramite piattaforma digitale). Il decreto contiene anche importanti disposizioni relative a profili sostanziali del rapporto, quali la durata massima della prova, la cumulabilità degli impieghi e la prevedibilità minima del lavoro, quando l’organizzazione del lavoro è in tutto o in parte imprevedibile.

 

Il regime del licenziamento nelle piccole imprese previsto dal Jobs Act è incostituzionale, ma spetta al legislatore e non alla Consulta modificare il quadro normativo

Salomonico verdetto della Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi in merito alla costituzionalità della disciplina del licenziamento nelle piccole imprese prevista dall’art. 9 del d.lgs. 23/15. Con la sentenza n. 183 depositata il 22 luglio, è stata infatti accolta l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello Stato: una declaratoria di incostituzionalità avrebbe infatti imposto alla Corte di invadere le prerogative del legislatore, per la necessità di configurare una coerente e ragionevole disciplina della materia. Resta però il riconoscimento del carattere inadeguato dell’indennizzo previsto dal Jobs Act (indennità compresa tra 3 e 6 mesi di retribuzione), che la Corte si riserva di censurare in futuro se il legislatore non ottempererà all’invito a regolare organicamente la materia, nel rispetto dei principi costituzionali più volte enunciati nella sua recente giurisprudenza.

Attacco alla responsabilità solidale dei committenti nell’ambito della logistica, grazie ad un emendamento alla legge di conversione del DL sul PNRR

La “manina”  evidentemente ben indirizzata del senatore Nazario Pagano (Forza Italia) ha introdotto un emendamento alla Legge di conversione del decreto PNRR- 2 (L. 79 del 29 giugno di conv. del DL 36/22 recante misure urgenti per l’attuazione del PNRR) con il quale si modifica l’art. 1677 bis c.c. introducendo per la prima volta nel codice civile il concetto di “servizi di logistica“, definiti come “attivita’ di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attivita’ di trasferimento di cose da un luogo a un altro“. Il fine è di applicare a tali attività le norme relative al contratto di trasporto e non più quelle relative all’appalto, con conseguenze esonero del committente dal regime della responsabilità solidale ex art. 29 d.lgs. 276/03 per i crediti di lavoro dei lavoratori. In attesa di auspicabili interventi chiarificatori del legislatore che rimuovano ambiguità a riguardo, un simile clamoroso regalo ai colossi del settore può comunque essere contrastato sul piano giudiziario, rivendicando l’estensione della responsabilità solidale al di fuori del contratto di appalto, sulla base dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza 254 del 2017.

Nuova dichiarazione di incostituzionalità sull’art. 18 dello Statuto, come riformato dalla Legge Fornero

Nuova censura di incostituzionalità dell’art. 18 dello Statuto nella versione riformata dalla l. 92/12 (c.d. Fornero). Stavolta la Consulta, con la sentenza n. 125/22,  dichiara in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto irragionevole, il requisito della “manifesta” insussistenza del fatto posto dall’art. 18 comma 7 a base di un licenziamento economico. Oltre a trattarsi di un requisito indeterminato, in quanto tale foriero di incertezze applicative, esso finisce per aggravare in maniera ingiustificata l’onere probatorio, complicando oltre modo l’iter processuale.

La Cassazione amplia l’ambito di applicazione della reintegrazione ai sensi dell’art. 18 comma 4 dello Statuto

Con la sentenza n.11665 dello scorso 11 aprile (replicata dalla successiva n.12745 del 21 aprile) la Cassazione fornisce un’interpretazione dell’art.18 comma 4 dello Statuto dei lavoratori che amplia la possibilità di ottenere la reintegrazione in caso di licenziamento comminato per condotte “punibili con sanzioni conservative sulla base della previsione dei contratti collettivi” . Secondo la Suprema Corte tale disposizione non implica la necessità che la condotta contestata sia riconducibile ad un’ipotesi esplicitamente tipizzata dal contratto collettivo, ma permette al giudice di ordinare la reintegrazione anche in presenza di clausole generali o disposizioni generiche alle quali la condotta del lavoratore è riconducibile in via interpretativa.

Decreto “Riaperture”: resta la sospensione dal lavoro per i non vaccinati nella sanità

Dal primo aprile, con l’entrata in vigore del decreto legge n. 24 del 24 marzo,  la sospensione del rapporto di lavoro con perdita della retribuzione per chi non ha adempiuto l’obbligo vaccinale resta solo per il personale sanitario e impiegato nelle RSA. Per gli altri lavoratori sottoposti all’obbligo vaccinale (che resta fino al 15 giugno), l’accesso al lavoro diventa possibile con il c.d. green pass base (cioè con tampone negativo). Il personale docente non vaccinato viene assegnato ad attività di sostegno all’istituzione scolastica che non comportano il contatto con gli alunni.

Prorogati fino al 30 giugno i termini per il superamento del regime emergenziale del lavoro agile, nel settore privato: resta dunque la possibilità per il datore di disporlo unilateralmente, senza l’accordo con il lavoratore.

La Cassazione penale precisa i presupposti del reato di caporalato

Con sentenza n. 7861 del 4 marzo 2022, la IV sezione penale della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti per identificare i reati di intermediazione illecita (il c.d. caporalato commesso dall’ “intermediario”) e di sfruttamento del lavoro (commesso dal datore) di cui all’art. 603-bis del codice penale, i cui elementi costitutivi sono la “condizione di sfruttamento” del lavoratore e l’ “approfittamento dello stato di bisogno” da parte dell’autore del reato. Riguardo al primo elemento della fattispecie, la condizione di sfruttamento può sussistere anche nei confronti di un solo lavoratore e può essere ricavata dal giudice dalla sussistenza di uno solo degli indici elencati dal comma 3, da ritenersi non tassativi; mentre lo stato di bisogno, da cui l’autore del reato intende trarre vantaggio, consiste in una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima, inducendola ad accettare condizioni di lavoro particolarmente svantaggiose.

I contratti di prossimità ex art. 8 d.l. 138/11 al giudizio della Corte costituzionale

La Corte d’Appello di Napoli, con ordinanza dello scorso 3 febbraio, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di costituzionalità per violazione degli art. 2 e 39, comma 1 e 4 Cost. in relazione all’art. 8 d.l. 138/11, ovvero la disposizione che legittima la derogabilità in sede decentrata della legge e dei contratti collettivi nazionali attraverso la stipula dei c.d. accordi di prossimità. Secondo il giudice partenopeo, il limite costituzionale all’attribuzione ai contratti collettivi dell’efficacia erga omnes per legge riguarda anche i contratti aziendali, e non solo quelli di categoria come sostenuto da parte della dottrina.

La Corte di giustizia si esprime sulle “soluzioni ragionevoli” da adottare per evitare il licenziamento di un disabile

Con la sentenza XXX c. HR Rail SA del 10 febbraio scorso (causa C-485/20), la Corte di giustizia fa propria una nozione ampia di “soluzioni ragionevoli” che il datore deve adottare (ai sensi dell’art. 5, direttiva 2000/78) per evitare il licenziamento di un lavoratore disabile  in caso di sopraggiunta inidoneità a svolgere le proprie mansioni, ricomprendendovi anche l’assegnazione ad un diverso posto di lavoro per il quale disponga delle competenze, delle capacità e delle disponibilità. Tale obbligo grava sul datore anche in relazione ad un lavoratore assunto come tirocinante. Resta il limite dell’ “onere sproporzionato” che lo stesso art. 5 prevede non possa essere addossato al datore. Per effettuare una valutazione in merito “è necessario tener conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano, delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni”.