Il TAR Lazio annulla l’ordinanza “Salvini” e ridefinisce i limiti del potere di precettazione

Il TAR Lazio, con la sentenza 6084 del 28 marzo, annulla l’ordinanza di precettazione adottata dal Ministro dei Trasporti Salvini per ridurre a 4 ore la durata dello sciopero nazionale del trasporto pubblico locale indetto dal sindacalismo di base (USB, Cobas Lavoro Privato, ADL Cobas, SGB, CUB Trasporti, ADL Cobas) per l’intera giornata del 15 dicembre scorso. Nel fare ciò i giudici amministravi precisano i presupposti di legittimità del potere di precettazione dell’autorità pubblica (Ministro o prefetto), ricordando che ai sensi dell’art. 8 della l. 146/90 questa può esercitarlo solo su impulso della Commissione di garanzia, salvo giustificare la propria iniziativa con  l’esistenza di esigenze di necessità e urgenza, non valutate dal Garante. Esigenze, appunto, non esistenti nel caso dello sciopero del 15 dicembre e, comunque, non provate dal Ministro dei trasporti.

Ancora la Consulta sui licenziamenti: il Jobs Act si applica anche ai lavoratori assunti prima della sua entrata in vigore, impiegati in azienda che abbiano superato il limite dei 15 dipendenti successivamente

Con la sentenza n. 44 del 22 febbraio la Consulta dichiara infondata la questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Lecce in merito alla disciplina del licenziamento prevista dal Jobs Act (d.lgs. 23/15), estesa (in supposta violazione della legge delega) anche ai lavoratori già assunti prima della sua entrata in vigore (7 marzo 2015) impiegati in aziende che abbiano superato dopo tale data la soglia dimensionale dei 15 dipendenti. Per la Corte ciò non contravviene al vincolo posto dal legislatore delegante di applicare la normativa ai soli “lavoratori neoassunti”, perchè il regime previsto per le imprese medio-grandi dal d.lgs. n. 23/2015 al quale il lavoratore viene ad essere assoggettato in conseguenza del superamento della soglia dimensionale è comunque più favorevole di quello ex art. 8, legge n. 604/1966 che gli si applicava in precedenza.

Decreto PNRR: nelle pieghe delle norme sul sistema ispettivo, l’attacco alla contrattazione collettiva

Con il D.L. 19 in vigore dal 2 marzo scorso (“Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”) si introducono diverse novità in ambito ispettivo, con l’intento di contrastare il lavoro sommerso e lo sfruttamento lavorativo, specie nell’ambito degli appalti (artt.29, 30 e 31). Accanto a (pochi) elementi positivi (l’incremento del numero degli ispettori in primis), si tratta però di novità che sollevano più di un dubbio circa la loro efficacia: la previsione della lista di conformità (attestato dal quale emerge la regolarità delle condotte dell’azienda) ed il nuovo sistema di qualificazione delle imprese (previsto riscrivendo l’art. 27, d.lgs.81/08) gravano l’INL di ingenti oneri burocratici che rischiano di risolversi in un ulteriore inceppamento delle attività ispettive.

Nelle pieghe delle nuove norme poi si nasconde il frutto avvelenato della modifica dell’art. 29, d.lgs. 276/03 in materia di appalti privati: il nuovo comma 1 bis impone all’appaltatore ed agli eventuali subappaltatori di corrispondere ai propri dipendenti un trattamento economico non inferiore a quello previsto dal contratto nazionale e territoriale “maggiormente applicato nel settore“; una nozione questa che, contraddicendo quella consolida della “maggior rappresentatività comparata”, ne rovescia la ratio con potenziali effetti di disarticolazione dell’intero sistema di contrattazione collettiva.

La Consulta interviene di nuovo sul Jobs Act: estesa la reintegrazione a tutti i casi di nullità

Nuova sentenza della Corte costituzionale sul regime dei licenziamenti previsto dal Jobs Act, stavolta con declaratoria di incostituzionalità (sentenza n.22, depositata il 22 febbraio). La limitazione operata dal legislatore delegato della tutela reintegratoria alle sole ipotesi di nullità “espressamente”  previste dalla legge (ex art.2, comma 1, d.lgs. 23/15), esorbita infatti i limiti della legge delega (art. 1, comma 7, L.183/14). Ne consegue un’espansione del diritto alla reintegrazione a tutte le ipotesi di licenziamento intimato in violazione di norme imperative, ad oggi sprovviste di sanzioni. Come, ad esempio, il licenziamento in periodo di comporto, il licenziamento ritorsivo del whistleblower, il licenziamento intimato in violazione del blocco previsto durante l’emergenza Covid-19, il licenziamento per sciopero attuato in violazione dei limiti ex l.146/90, oltre all’ipotesi all’origine della sentenza (licenziamento di un autoferrotranviere in violazione del procedimento disciplinare regolato dal R.D. 148/31).

La Corte costituzionale riconosce la legittimità della disciplina dei licenziamenti collettivi introdotta dal Jobs Act

Con la sentenza la sentenza n. 7 depositata il 22 gennaio la Corte costituzionale fa salva la disciplina dei licenziamenti collettivi prevista dal Jobs Act (art. 10, d.lgs. 23/15), giustificando l’esclusione del diritto alla reintegrazione del lavoratore licenziato illegittimamente per violazione dei criteri di scelta di cui all’art.  5, comma 1 l.223/91. La sentenza fa seguito alla precedente n. 254/20 con la quale erano state dichiarate inammissibili le questioni sollevate dalla Corte d’Appello di Napoli, per vizi procedurali dell’ordinanza di rinvio. Stavolta invece la Corte decide le questioni, precisando che la normativa contestata non viola nè il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., dal momento che il deteriore trattamento che essa configura per i lavoratori assunti dopo la sua entrata in vigore è ragionevolmente finalizzato alla promozione dell’occupazione di questi ultimi; nè le norme costituzionali a tutela della stabilità del lavoro, lette congiuntamente all’art. 24 della Carta sociale europea, in quanto la tutela meramente indennitaria prevista dal d.lgs. 23/15 configura comunque un risarcimento adeguato per il lavoratore.

Annullati una seconda volta i licenziamenti collettivi dei lavoratori dell’ex GKN: condannata per condotta antisindacale la nuova proprietà

A distanza di oltre 2 anni dal primo decreto ex art. 28 Statuto lavoratori che bloccò la chiusura dell’azienda nel settembre 2021, arriva un’altra vittoria processuale dei lavoratori dell’ex GKN: con il decreto depositato il 26 dicembre il Tribunale di Firenze accoglie il ricorso della FIOM e condanna per condotta antisindacale la nuova proprietà QF (che fa capo a Francesco Borromeo) per aver attivato i licenziamenti collettivi senza aver prima adempiuto agli obblighi procedurali previsti dalla l. 234/21  (la c.d. legge “Todde-Orlando” anti-delocalizzazioni), ovvero senza aver informato le rappresentanze sindacali dell’intenzione di cessare definitivamente l’attività. Fatale, per la proprietà, l’errore di calcolo sul numero complessivo di lavoratori mediamente impiegati nell’anno precedente l’invio delle comunicazioni di licenziamento, di appena una unità superiore ai limite di legge (250 lavoratori).

Inizia adesso una nuova fase di confronto con sindacati e istituzioni pubbliche per avviare un processo di reindustrializzazione del sito.