Decreto PNRR: nelle pieghe delle norme sul sistema ispettivo, l’attacco alla contrattazione collettiva

Con il D.L. 19 in vigore dal 2 marzo scorso (“Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)”) si introducono diverse novità in ambito ispettivo, con l’intento di contrastare il lavoro sommerso e lo sfruttamento lavorativo, specie nell’ambito degli appalti (artt.29, 30 e 31). Accanto a (pochi) elementi positivi (l’incremento del numero degli ispettori in primis), si tratta però di novità che sollevano più di un dubbio circa la loro efficacia: la previsione della lista di conformità (attestato dal quale emerge la regolarità delle condotte dell’azienda) ed il nuovo sistema di qualificazione delle imprese (previsto riscrivendo l’art. 27, d.lgs.81/08) gravano l’INL di ingenti oneri burocratici che rischiano di risolversi in un ulteriore inceppamento delle attività ispettive.

Nelle pieghe delle nuove norme poi si nasconde il frutto avvelenato della modifica dell’art. 29, d.lgs. 276/03 in materia di appalti privati: il nuovo comma 1 bis impone all’appaltatore ed agli eventuali subappaltatori di corrispondere ai propri dipendenti un trattamento economico non inferiore a quello previsto dal contratto nazionale e territoriale “maggiormente applicato nel settore“; una nozione questa che, contraddicendo quella consolida della “maggior rappresentatività comparata”, ne rovescia la ratio con potenziali effetti di disarticolazione dell’intero sistema di contrattazione collettiva.

La Consulta interviene di nuovo sul Jobs Act: estesa la reintegrazione a tutti i casi di nullità

Nuova sentenza della Corte costituzionale sul regime dei licenziamenti previsto dal Jobs Act, stavolta con declaratoria di incostituzionalità (sentenza n.22, depositata il 22 febbraio). La limitazione operata dal legislatore delegato della tutela reintegratoria alle sole ipotesi di nullità “espressamente”  previste dalla legge (ex art.2, comma 1, d.lgs. 23/15), esorbita infatti i limiti della legge delega (art. 1, comma 7, L.183/14). Ne consegue un’espansione del diritto alla reintegrazione a tutte le ipotesi di licenziamento intimato in violazione di norme imperative, ad oggi sprovviste di sanzioni. Come, ad esempio, il licenziamento in periodo di comporto, il licenziamento ritorsivo del whistleblower, il licenziamento intimato in violazione del blocco previsto durante l’emergenza Covid-19, il licenziamento per sciopero attuato in violazione dei limiti ex l.146/90, oltre all’ipotesi all’origine della sentenza (licenziamento di un autoferrotranviere in violazione del procedimento disciplinare regolato dal R.D. 148/31).

La Corte costituzionale riconosce la legittimità della disciplina dei licenziamenti collettivi introdotta dal Jobs Act

Con la sentenza la sentenza n. 7 depositata il 22 gennaio la Corte costituzionale fa salva la disciplina dei licenziamenti collettivi prevista dal Jobs Act (art. 10, d.lgs. 23/15), giustificando l’esclusione del diritto alla reintegrazione del lavoratore licenziato illegittimamente per violazione dei criteri di scelta di cui all’art.  5, comma 1 l.223/91. La sentenza fa seguito alla precedente n. 254/20 con la quale erano state dichiarate inammissibili le questioni sollevate dalla Corte d’Appello di Napoli, per vizi procedurali dell’ordinanza di rinvio. Stavolta invece la Corte decide le questioni, precisando che la normativa contestata non viola nè il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., dal momento che il deteriore trattamento che essa configura per i lavoratori assunti dopo la sua entrata in vigore è ragionevolmente finalizzato alla promozione dell’occupazione di questi ultimi; nè le norme costituzionali a tutela della stabilità del lavoro, lette congiuntamente all’art. 24 della Carta sociale europea, in quanto la tutela meramente indennitaria prevista dal d.lgs. 23/15 configura comunque un risarcimento adeguato per il lavoratore.

Annullati una seconda volta i licenziamenti collettivi dei lavoratori dell’ex GKN: condannata per condotta antisindacale la nuova proprietà

A distanza di oltre 2 anni dal primo decreto ex art. 28 Statuto lavoratori che bloccò la chiusura dell’azienda nel settembre 2021, arriva un’altra vittoria processuale dei lavoratori dell’ex GKN: con il decreto depositato il 26 dicembre il Tribunale di Firenze accoglie il ricorso della FIOM e condanna per condotta antisindacale la nuova proprietà QF (che fa capo a Francesco Borromeo) per aver attivato i licenziamenti collettivi senza aver prima adempiuto agli obblighi procedurali previsti dalla l. 234/21  (la c.d. legge “Todde-Orlando” anti-delocalizzazioni), ovvero senza aver informato le rappresentanze sindacali dell’intenzione di cessare definitivamente l’attività. Fatale, per la proprietà, l’errore di calcolo sul numero complessivo di lavoratori mediamente impiegati nell’anno precedente l’invio delle comunicazioni di licenziamento, di appena una unità superiore ai limite di legge (250 lavoratori).

Inizia adesso una nuova fase di confronto con sindacati e istituzioni pubbliche per avviare un processo di reindustrializzazione del sito.

Il Tribunale di Palermo condanna per discriminazioni multiple la piattaforma di food-delivery Foodihno

Accogliendo parzialmente il ricorso per condotta antisindacale di Nidil, Filcams e Filt, il giudice del lavoro di Palermo condanna la piattaforma di food-delivery Foodinho (gruppo Glovo) per le discriminazioni multiple prodotte dal proprio sistema di selezione e organizzazione del lavoro, basato su un algoritmo che premia con “punteggio di eccellenza” i lavoratori più produttivi, ovvero più disponibili a lavorare in determinati giorni (fine settimana e festivi) e fasce orarie (serali). In tal modo i lavoratori vengono messi in concorrenza gli uni con gli altri, senza alcuna considerazione delle loro condizioni personali relative al genere, all’età, all’handicap, alle convinzioni religiose; il che configura multiple potenziali (ovvero, che prescindono dall’esistenza di un soggetto discriminato) discriminazioni indirette (dovute cioè all’applicazione di criteri apparentemente neutri), nonchè la violazione del diritto di sciopero, visto che un simile modello organizzativo equipara l’indisponibilità per sciopero a quella dovuta ad altre ragioni non tutelate dall’ordinamento .

La Commissione di garanzia ed il Ministro dei trasporti dimezzano la durata dello sciopero “generale” per i lavoratori nei trasporti

Imposta la riduzione della durata dello sciopero generale del 17 novembre da 8 a 4 ore per i lavoratori dei trasporti dall’azione congiunta della Commissione di garanzia e del Ministro dei trasporti. La prima, il 9 novembre, ha adottato una delibera di invito (ai sensi dell’art.13, lett. d)  l. n. 146/90) con la quale si è contestato ai sindacati proclamanti (CGIL e UIL) la violazione delle regole relative alla rarefazione oggettiva (con riferimento al settore del trasporto aereo e dell’igiene ambientale) e della durata massima della prima azione di sciopero (con riferimento a tutti i settori dei trasporti). Ciò perchè, secondo la Commissione, lo sciopero, non riguardando tutte le categorie dei lavoratori pubblici e privati, non poteva definirsi “generale”, e come tale beneficiare delle deroghe alle discipline di settore ammesse dalla stessa Commissione di garanzia (delibera 03/134). Sulla scia della delibera della Commissione si è mosso il Ministro Salvini, adottando l’ordinanza di precettazione. Se l’intervento della Commissione può trovare una giustificazione nella propria precedente prassi (pur non essendo, proprio per questo, obbligato), l’intervento del Ministro appare esorbitante rispetto ai poteri che gli conferisce la legge, non sollevando lo sciopero generale alcun “fondato pericolo di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati”, come richiesto dall’art.8, l. 146/90