Pubblicata la sentenza n.194/2018 con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale il c.d. contratto a tutele crescenti (d. lgs.23/2015)

Pubblicate le motivazioni della sentenza n. 194 del 26 settembre, che ha dichiarato incostituzionale il meccanismo di calcolo dell’indennità da corrispondere in caso di licenziamento illegittimo previsto dall’art.3, comma 1 del d.lgs. 23/2015 (c.d. Jobs Act). La sentenza riguarda anche la sopravvenuta disciplina introdotta dal c.d. decreto dignità (d.l. 87/18, convertito in l. 96/18), non avendo questa inciso su tale meccanismo ma essendosi limitata ad aumentare i limiti minimi da 4 a 6 mesi di retribuzione) e massimi (da 24 a 36 mesi) dell’indennizzo.

Tale norma, chiarisce la Corte, nel predeterminare l’indennità in funzione della sola anzianità di servizio, viola in primo luogo l’art.3 Cost. (principio di uguaglianza) perché comporta una indebita omologazione di situazioni diverse, impedendo al  giudice di valutare il concreto pregiudizio subito dal lavoratore per la perdita del posto di lavoro tenendo conto di altri fattori. La norma è altresì in contrasto con gli art.4, comma 1 (diritto al lavoro) e 35, comma 1 (tutela del lavoro in tutte le sue forme), in ragione dell’inadeguata protezione che assicura al lavoratore. Violato anche l’art 24 della Carta Sociale Europea che impone sia garantito un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione al lavoratore licenziato ingiustamente. Della fonte del Consiglio d’Europa è ribadita la natura di norma interposta ai sensi dell’art.117, comma 1 Cost. ed è valorizzato il ruolo del Comitato europeo dei diritti sociali come organismo sovranazionale deputato ad interpretarla.

Per effetto della sentenza 194 spetta adesso al giudice determinare l’importo dell’indennità tenendo conto anche di fattori diversi rispetto all’anzianità di servizio (tra i quali rilevano certamente quelli fissati dall’art.8, l. 604/66)., pur nei limiti del tetto massimo fissato dall’attuale normativa (36 mesi).

Primi effetti della sentenza della Consulta sul contratto a tutele crescenti: il Tribunale di Bari ignora il limite dell’indennizzo

Il Tribunale di Bari, con sentenza del 10 ottobre, anticipa gli effetti della sentenza della Corte costituzionale (non ancora pubblicata) che ha dichiarato l’incostituzionalità del d.lgs. 23/15. In un caso relativo ad un licenziamento collettivo dichiarato illegittimo per violazione degli obblighi di comunicazione sindacale, ha condannato l’impresa a versare un indennizzo di 12 mensilità ad un lavoratore assunto con il contratto a tutele crescenti, invece delle 4 mensilità che gli sarebbero spettate in ragione della sua anzianità di servizio (un anno e mezzo). Seguendo un’interpretazione conforme alla Costituzione, il giudice ha ritenuto di dover considerare anche altri elementi per quantificare il danno subito dal lavoratore (in particolare, la gravità del comportamento datoriale).

Convertito in legge il decreto dignità: esteso l’uso dei voucher in agricoltura e nel turismo e tolti i limiti al precariato nella scuola

Il 9 agosto è entrata in vigore la legge n.96/2018 di conversione del c.d. decreto dignità, con qualche significativa novità rispetto al testo originario. Tra gli emendamenti più rilevanti del capo I (relativo alle misure di contrasto al precariato) c’è l’ampliamento e la semplificazione dell’utilizzo del lavoro occasionale in agricoltura e nel turismo: il pagamento del lavoratore (pensionato, giovane con meno di 25 anni, disoccupato o percettore di integrazione del reddito) può avvenire in contanti presso qualsiasi ufficio postale (previa iscrizione nella piattaforma INPS), il rapporto può durate fino a 10 giorni e l’utilizzatore può avere fino a 8 dipendenti . Il nuovo testo precisa anche che i limiti di durata del contratto  a termine non si applicano alle agenzie di somministrazione ma soltanto all’utilizzatore; con il che si scongiura una stretta radicale su questa tipologia contrattuale. Sconfessando Corte di giustizia (sentenza Mascolo) e Corte costituzionale (sent. 187/16), viene poi  eliminato ogni limite di durata dei contratti a termine nella scuola (introdotto con la legge 107/15): si riapre così la stagione dei ricorsi.

In vigore il “decreto dignità”: tetto di 24 mesi ai contratti a termine e indennizzo più alto per il licenziamento

E’ entrato in vigore il D.L. n. 87 del 12 luglio 2018 che, nella sua prima parte, riduce da 36 a 24 mesi la durata massima complessiva del contratto a termine. Il superamento dei 12 mesi, anche per affetto di proroga o rinnovo, diventa possibile solo per ragioni di carattere temporaneo. Restano esclusi i lavori stagionali mentre deroghe ai nuovi limiti sono possibili attraverso la contrattazione collettiva e con accordo davanti all’ispettorato del lavoro. La riforma incide anche sull’utilizzabilità dei lavoratori in somministrazione, visto che gli stessi limiti valgono in caso di assunzione da parte di un’Agenzia.

Aumentato anche l’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo dei lavoratori assunti con il contratto  a tutela crescenti: potrà arrivare fino a 36 mesi di retribuzione e non può essere inferiore a 6. Resta comunque il meccanismo di calcolo rigido e automatico dell’indennizzo, che aumenta di due mensilità ogni anno di servizio.

Queste novità dovranno adesso passare al vaglio del Parlamento, che ha sessanta giorni per convertire il decreto in legge ordinaria.

 

Circolare dell’INL sulla responsabilità dello pseudo-appaltante per gli inadempimenti contributivi in caso di appalto illecito

Con la circolare n.10/2018 dell’11 luglio l’Ispettorato Nazionale del Lavoro affronta il problema della responsabilità dello pseudo-appaltatore nel caso in cui il lavoratore non abbia agito in giudizio nei suoi confronti per ottenere la costituzione del rapporto ex art.414 c.p.c. Osserva l’INL che, pur restando esclusa l’instaurazione ex  lege del rapporto di lavoro, l’utilizzatore deve comunque considerarsi responsabile per il versamento dei contributi evasi dallo pseudo-appaltatore in virtù del carattere pubblicistico del rapporto previdenziale, come tale sottratto alla disponibilità delle parti. Da ciò la possibilità del personale ispettivo di procedere nei suoi confronti al recupero dei contributi dovuti durante l’esecuzione dell’appalto, fatta salva l’incidenza satisfattiva dei pagamenti effettuati dallo pseudo-appaltatore. A conforto di tale conclusione viene richiamata anche la recente sentenza della Corte costituzionale n. 254/2017 in materia di subfornitura, che ha riconosciuto il carattere di principio generale al regime della solidarietà in qualsiasi ipotesi di dissociazione tra titolarità del rapporto di lavoro e utilizzo della prestazione

Adottata la nuova direttiva sul distacco transnazionale: più margine agli Stati per contrastare il dumping salariale

Dopo un lungo e travagliato iter legislativo è stata adottata la direttiva 2018/957 del 28 giugno 2018 che riforma la disciplina del distacco transnazionale contenuta nella direttiva 1996/71. La nuova direttiva dovrebbe favorire una più efficace azione di contrasto al dumping salariale operato nell’ambito degli appalti transnazionali e attraverso le agenzie di somministrazione. Tra le novità più rilevanti c’è il riconoscimento per gli Stati membri della possibilità di imporre alle imprese straniere il rispetto dei medesimi standard retributivi applicati dalle imprese nazionali. Introdotto anche un limite di durata massima del distacco (12 mesi, prorogabili fino a 18) oltre il quale il lavoratore straniero deve intendersi stabilmente impiegato sul territorio nazionale. Per l’Italia non cambia però molto: resta infatti aperto il problema dell’applicabilità alle imprese straniere di contratti collettivi privi di efficacia erga omnes.

La Corte costituzionale riconosce la libertà sindacale dei militari, grazie anche alla Carta sociale europea.

Anche i militari hanno diritto a costituire organizzazioni sindacali, ma non possono aderire ad organizzazioni di altre categorie di lavoratori né esercitare il diritto di sciopero. Lo ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 120/2018 dichiarando la parziale incostituzionalità dell’art.1475, comma 2 del d.lgs. n. 66/2010 (codice dell’ordinamento militare). La decisione della Corte si è fondata anche sull’art. 5 della Carta sociale europea sulla libertà di organizzazione sindacale. Alla fonte del Consiglio d’Europa viene riconosciuta la natura di norma interposta ai sensi dell’art. 117 comma 1 Cost., ma la Consulta nega di essere vincolata dalle decisioni del Comitato europeo dei diritti sociali, del quale rimarca il carattere di organismo non giurisdizionale (proprio invece della Corte europea dei diritti dell’uomo). Si tratta di un’affermazione che potrebbe condizionare la futura decisione della Corte sulla questione di costituzionalità relativa al contratto a tutele crescenti (d.lgs. 23/15), che il Tribunale di Roma, con l’ordinanza del 26 luglio 2017, ha sollevato richiamando proprio la giurisprudenza del Comitato.