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In vigore il decreto legge su reddito di cittadinanza e “quota cento”
In vigore il decreto legge n. 4/2019 che introduce il c.d. reddito di cittadinanza, la cui erogazione inizierà nel mese di aprile 2019. Si tratta di un sussidio erogato attraverso apposita carta acquisti, che sostituisce il reddito di inclusione ampliandone la platea dei beneficiari. L’accesso al reddito di cittadinanza è condizionato alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro ed all’adesione ad un percorso personalizzato finalizzato all’inserimento lavorativo. Se anche i centri per l’impiego riuscissero a implementare la riforma, difficile per i beneficiari sottrarsi alla trappola della precarietà, come dimostrano analoghe misure adottate in altri paesi europei.
Lo stesso d.l. 4/2019 modifica alcuni aspetti della normativa pensionistica, a partire dall’introduzione della c.d. quota 100, che in realtà riguarda soltanto chi compie 62 anni nel triennio 2019-2021 avendo già maturato 38 anni di contributi.
Bollettino n. 8 – 2018
Approvata la legge di bilancio: tra le poche novità la flessibilità nella fruizione del congedo di maternità e l’intervento sull’indicizzazione delle pensioni
In attesa del varo del c.d. reddito di cittadinanza e della riforma delle pensioni, la legge di bilancio 2019 (n. 145/2018) prevede poche novità in materia di lavoro. Tra queste l’aumento a 5 giorni del congedo obbligatorio per il padre da fruire entro i 5 mesi dalla nascita del figlio e la previsione di un giorno di congedo facoltativo in sostituzione al periodo di astensione obbligatoria spettante alla madre; la possibilità di godere dei 5 mesi di congedo obbligatorio di maternità dopo il parto; la priorità per l’accesso allo smart-working per le lavoratrici nei primi 3 mesi successivi al congedo obbligatorio; l’esenzione dai nuovi limiti per le assunzioni a termine per le Università e gli enti di ricerca pubblici e privati; lo sgravio contributivo per l’assunzione dei laureati con lode o titolari di dottorato. Le misure più controversie in materia previdenziale, in primis la rimodulazione dei meccanismi di rivalutazione delle pensioni per i prossimi 3 anni (perequazione automatica), con riduzione degli indici per pensioni di importo superiore ai 1522 euro.
Bollettino n. 7 – 2018
Fondazioni liriche: la Corte di giustizia impone un limite al precariato
La Corte di Giustizia, con sentenza del 25 ottobre, dichiara illegittima la normativa italiana nella parte in cui non prevede per le Fondazioni lirico sinfoniche nessun limite al rinnovo dei contratti né relativo ad un tetto massimo di durata degli stessi né relativo ad un obbligo di motivazione dei rinnovi contrattuali. La Corte di Lussemburgo ricorda al legislatore italiano che la direttiva 1999/70/CE non ammette deroghe al principio per cui i rinnovi dei contratti a termine debbano essere motivati da “esigenze provvisorie” e quindi possano essere stipulati solo per particolari esigenze temporanee e non per far fronte a carenze di organico. Non sorgono dunque dubbi sulla piena applicabilità degli obblighi di motivazione oggi previsti dal c.d decreto dignità per tutti i rinnovi dei contratti a termine stipulati anche dalle Fondazioni lirico sinfoniche.
La Corte di giustizia riconosce efficacia diretta alla Carta diritti dell’UE in materia di diritto alle ferie
Importante sentenza della Corte di giustizia relativa all’efficacia della Carta dei diritti fondamentali dell’UE negli ordinamenti nazionali (causa C-684/16). Censurando la normativa tedesca che limita l’indennizzabilità delle ferie non godute, i giudici europei hanno riconosciuto che la disposizione della Carta relativa al diritto alle ferie (art.31, par.2) può essere invocata in giudizio dai lavoratori nelle controversie contro i propri datori di lavoro, per ottenere la disapplicazione della legislazione nazionale. E’ la prima volta che viene riconosciuto un simile effetto (c.d. efficacia diretta orizzontale) ad una norma della Carta dei diritti relativa ad un diritto “sociale”.
Pubblicata la sentenza n.194/2018 con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale il c.d. contratto a tutele crescenti (d. lgs.23/2015)
Pubblicate le motivazioni della sentenza n. 194 del 26 settembre, che ha dichiarato incostituzionale il meccanismo di calcolo dell’indennità da corrispondere in caso di licenziamento illegittimo previsto dall’art.3, comma 1 del d.lgs. 23/2015 (c.d. Jobs Act). La sentenza riguarda anche la sopravvenuta disciplina introdotta dal c.d. decreto dignità (d.l. 87/18, convertito in l. 96/18), non avendo questa inciso su tale meccanismo ma essendosi limitata ad aumentare i limiti minimi da 4 a 6 mesi di retribuzione) e massimi (da 24 a 36 mesi) dell’indennizzo.
Tale norma, chiarisce la Corte, nel predeterminare l’indennità in funzione della sola anzianità di servizio, viola in primo luogo l’art.3 Cost. (principio di uguaglianza) perché comporta una indebita omologazione di situazioni diverse, impedendo al giudice di valutare il concreto pregiudizio subito dal lavoratore per la perdita del posto di lavoro tenendo conto di altri fattori. La norma è altresì in contrasto con gli art.4, comma 1 (diritto al lavoro) e 35, comma 1 (tutela del lavoro in tutte le sue forme), in ragione dell’inadeguata protezione che assicura al lavoratore. Violato anche l’art 24 della Carta Sociale Europea che impone sia garantito un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione al lavoratore licenziato ingiustamente. Della fonte del Consiglio d’Europa è ribadita la natura di norma interposta ai sensi dell’art.117, comma 1 Cost. ed è valorizzato il ruolo del Comitato europeo dei diritti sociali come organismo sovranazionale deputato ad interpretarla.
Per effetto della sentenza 194 spetta adesso al giudice determinare l’importo dell’indennità tenendo conto anche di fattori diversi rispetto all’anzianità di servizio (tra i quali rilevano certamente quelli fissati dall’art.8, l. 604/66)., pur nei limiti del tetto massimo fissato dall’attuale normativa (36 mesi).
Primi effetti della sentenza della Consulta sul contratto a tutele crescenti: il Tribunale di Bari ignora il limite dell’indennizzo
Il Tribunale di Bari, con sentenza del 10 ottobre, anticipa gli effetti della sentenza della Corte costituzionale (non ancora pubblicata) che ha dichiarato l’incostituzionalità del d.lgs. 23/15. In un caso relativo ad un licenziamento collettivo dichiarato illegittimo per violazione degli obblighi di comunicazione sindacale, ha condannato l’impresa a versare un indennizzo di 12 mensilità ad un lavoratore assunto con il contratto a tutele crescenti, invece delle 4 mensilità che gli sarebbero spettate in ragione della sua anzianità di servizio (un anno e mezzo). Seguendo un’interpretazione conforme alla Costituzione, il giudice ha ritenuto di dover considerare anche altri elementi per quantificare il danno subito dal lavoratore (in particolare, la gravità del comportamento datoriale).