La Corte di Giustizia salva (quasi in toto) la direttiva sul salario minimo

La direttiva sui salari minimi adeguati nell’UE è stata salvata dalla Corte di giustizia, che ha respinto quasi integralmente il ricorso per annullamento presentato dalla Danimarca (sentenza 11 novembre 2025, in causa C-19/23). L’unica parte del ricorso accolta riguarda l’elenco dei criteri che, in base all’art. 5.2 della direttiva, gli Stati membri avrebbero dovuto considerare nel definire le procedure per determinare e aggiornare il salario minimo legale. Tali criteri infatti determinano per la Corte un’ingerenza diretta nella materia della “retribuzione” che l’art. 153.5 TFUE riserva alla competenza esclusiva degli Stati membri. Lo stesso dicasi per il vincolo (anch’esso eliminato) che impediva ai meccanismi di indicizzazione di determinare una riduzione dei salari. Nulla cambia per l’Italia, dal momento che la norma riguardava i soli paesi dotati di salario minimo legale. Restano rilevanti per il nostro paese gli obblighi di sostegno e promozione della contrattazione collettiva previsti dall’art. 4 della direttiva, che la Corte mantiene in vita. Resterà dunque da valutare non solo se possa ritenersi compatibile con tali obblighi l’attuale sregolato sistema di contrattazione, ma anche se lo saranno i futuri decreti legislativi attuativi della legge delega n. 144/24 relativa alla contrattazione in materia salariale.